Quantità e qualità dei carboidrati che ingeriamo… come sceglierle? Indice glicemico e carico glicemico come fattori di riferimento.

Scritto da Unknown alle 15:57

Mi è capitato di vedere persone mangiare 4 mele per pranzo, perchè "la frutta riempie  e non fa ingrassare, e poi, digerire una mela fa consumare più calorie di quante ne apporta la me la stessa".
Sicuri che questa tattica funzioni? Non dovremmo prendere in considerazione anche altri elementi? Vi siete mai chiesti per quale motivo la frutta "apre lo stomaco"? E quanto a lungo si rimane sazi?
Bisogna imparare a scegliere meglio le fonti di carboidrati, tenendo conto anche di altri fattori; uno di questi è il loro indice glicemico, ovvero la velocità con cui vengono rilasciati gli zuccheri (cioè il glucosio) nel sangue in seguito all’assunzione di un cibo contenente carboidrati.  
Infatti, a seconda del tipo di carboidrati che ingeriamo, i loro zuccheri possono essere rilasciati più o meno velocemente nel sangue, quindi trasformati in glucosio per essere utilizzati a scopo energetico. Al loro arrivo, il pancreas reagisce producendo insulina, per normalizzare i valori della glicemia (innalzati dagli zuccheri ingeriti), che, nell’arco di 2-3 ore, se tutto va bene, torna ad essere normale. Più lento è il rilascio di glucosio, più stabile è il livello di energia del corpo. 
Quel che dobbiamo qui considerare è il fatto che, maggiore sarà la quantità di zuccheri che avremmo riversato nel sangue, maggiore sarà l’insulina prodotta, e, grandi quantità, causeranno i c.d picchi insulinici (e relativi picchi glicemici). Ora, se l’insulina ha il compito di normalizzare i valori della glicemia, questo non significa che sarà in grado di farlo in ogni situazione. Infatti nel momento in cui arriva un’elevata e rapida quantità di zuccheri, l’insulina l’avverte come minaccia e tende ad abbassarla il più possibile, quindi la glicemia scenderà  sotto il livello minimo.
Dunque, è passata da un livello alto ad un livello basso, senza essere stata normalizzata. Ma l’insulina non si arrende e non smette di provare a portare a termine il suo compito. Ora si trova con una glicemia troppo bassa e, per normalizzarla, ha bisogno di altro zucchero. Così, nonostante avessimo già ingerito un’alta dose di carboidrati, nel giro di pochissimo tempo  avvertiamo il c.d calo di zuccheri perché la nostra formica-insulina continua a lavorare e il metodo più semplice per ottenere nuovi zuccheri è quello di stimolare nuovamente la fame. Ora, se dovessimo ingerire altri alimenti ad alto indice glicemico il gioco non farebbe che ripetersi dando vita ad un circolo vizioso e alle classiche lamentele sulla dieta che non funziona.
Da quanto detto sembrerebbe che dovremmo evitare come la peste gli alimenti ad alto indice glicemico. In realtà non ci sono divieti così rigidi, ma, come al solito, è la dose a fare il veleno. Ad esempio, fra i non addetti ai lavori si sente spesso dire di evitare le carote perché hanno un elevato indice glicemico. Ma quante carote dovremmo mangiare per causare questo effetto a catena? Beh, circa 1 kg perché ogni 100 grammi di carote avremmo circa 8,5 grammi di carboidrati! Per lo stesso motivo però non possiamo pranzare con 4 mele (che pesano circa 200-250gr l’una)! Ecco, quindi il secondo fattore che dobbiamo considerare: il carico glicemico.
Per capire la differenza fra indice glicemico e carico glicemico immaginiamo un bilanciere caricato con due dischi di ghisa e uno caricato con due dischi di alluminio, dello stesso volume.  Viene da se che quello caricato ad alluminio peserà molto meno (circa 4 volte di meno!) e sarà più facile da sollevare e gestire rispetto all’altro. Allo stesso modo l’insulina potrà gestire meglio i carboidrati a basso indice glicemico, per ottimizzare l’efficacia della sua funzione: la normalizzazione della glicemia.
Possiamo dire che il carico glicemico combina i fattori quantità e qualità dei carboidrati indicandoci la retta via. Infatti questo valore è facilmente calcolabile: basta moltiplicare l’indice glicemico dell’alimento in questione per la quantità di carboidrati che contiene:  ad esempio una banana matura ha un indice glicemico pari a 55, mentre quello del cocomero si aggira intorno a 80. La prima contiene una quantità di carboidrati intorno ai 32 grammi, mentre il secondo  intorno agli 8 grammi (per una porzione sempre pari a 100 grammi). Il carico glicemico sarà dato da: 55x32=1750 (banana) e 80x8=640 (cocomero).
Dunque, anche se una banana ha un indice glicemico più basso rispetto al cocomero, una porzione di cocomero avrà un minore impatto sulla glicemia dato che contiene un minor numero di carboidrati, quindi il cocomero ha un minore carico glicemico.
Vediamo ora quali sono gli alimenti che rilasciano energia più velocemente e quelli invece più lenti. Dobbiamo considerare che entrambi possono essere contenuti sia in cibi sani che non, ma i secondi, sono praticamente tutti dei derivati (cioè cibi raffinati), quindi la logica ci porterà ad individuarli facilmente.
I carboidrati complessi o a rilascio lento sono i c.d amidacei, quindi:, avena, patate, verdure, mais dolce, cereali, pane integrale, cereali integrale, farina integrale, riso integrale, pasta integrale, ma anche banane, orzo, fagioli, ceci, lenticchie, noci.  
Quelli raffinati: biscotti, pasticcini e torte, pizze, cereali per la prima colazione, pane bianco, farina bianca, pasta bianca, riso bianco)
I carboidrati semplici o a rilascio veloce sono contenuti nella frutta e nei vegetali.
Gli zuccheri raffinati semplici sono presenti in prodotti come: biscotti, dolci, torte, cioccolato, miele, marmellata, caramelle, zucchero ci canna, cibo preparato e salse, bibite e snack di vario genere.
Per riassumere: scegliere i carboidrati a rilascio lento significa non causare picchi glicemici proprio perché gli zuccheri in questi contenuti vengono riversati nel sangue in modo più graduale. Al contrario, i carboidrati semplici forniscono energia più immediata.
Per questo motivo a pranzo è più indicato un piatto di pasta o riso integrale rispetto ad una massiccia dose di frutta, mentre, un’ora prima di un allenamento sarebbe meglio un frutto, poiché, vista la sua rapida digestione e conseguente rilascio di zuccheri veloci, avremmo a disposizione energia più velocemente.
Al contrario, un panino, non farà in tempo a fornirci di energia per l’allenamento ma anzi, risulterà d’ostacolo, in quanto il sangue si concentrerà nell’apparato digerente e non nei muscoli.
In rete si trovano tantissime tabelle che riportano l’indice glicemico di un’infinità di alimenti, ma non dimenticate che questo valore può variare anche di molto in relazione a moltissimi fattori come:
- la cottura: all’aumentare della temperatura aumenta  l’IG e questa è anche la ragione per cui tutti gli amidi raffinati, cioè modificati industrialmente, hanno un indice glicemico molto più alto rispetto agli amidi lasciati al loro stato naturale; pensate ai fiocchi di riso, purè in fiocchi, popocorn, cornflakes, ecc;
- l’idratazione: la cottura a vapore o stufata, avendo un basso livello di idratazione rispetto a quella per immersione, limita la gelatinizzazione, quindi  l’innalzamento dell’IG.
- il grado di maturazione o di invecchiamento: di regola più un frutto è maturo maggiore sarà il suo IG anche se questo non può dirsi proprio per tutti i frutti (vale per le banane, fichi ma non, ad esempio,  per le mele);  più le patate sono invecchiate più alto sarà il loro IG, quindi, quando la stagione lo permette, sarebbero da preferire le patate novelle.
-il tipo di pasta: anche se derivati da una stessa farina, l’indice glicemico può variare anche di moltissimo tra un raviolo e uno spaghetto perché il secondo viene pastificato, cioè sottoposto ad un processo che lo riveste di una pellicola protettiva che rallenta la gelatinizzazione dell’amido durante la cottura e di conseguenza frena l’innalzamento dell’indice glicemico; quindi meglio evitare i tagli di pasta fresca, lasagne, ecc; per quanto riguarda la pasta voglio fare un appunto anche sulla sua specifica cottura: meglio al dente, sempre per la questione della gelatinizzazione dell’amido;
-la conservazione: gli amidi raffreddati subiscono un processo inverso alla gelatinizzazione, quindi anche l’indice glicemico si abbassa; lo stesso può dirsi per i cibi essiccati, il pane raffermo o tostato, congelato e quindi scongelato.
Anche consumare regolarmente insalata fresca aiuta ad abbassare l’IG poiché  rallenta l'assorbimento dei carboidrati (e quindi abbassa l'IG).
L’indice glicemico dipende quindi da tutte queste variabili che devono necessariamente essere considerate per scegliere le fonti di carboidrati con coscienza, perché, come abbiamo visto, anche un amido integrale può trasformarsi in una vera e propria iniezione di glucosio puro.
Vediamo ora quali sono gli effetti del consumo regolare di alimenti ad alto indice glicemico:
1.       Innanzitutto, come abbiamo visto, si crea quel circolo vizioso che porta ad avere fame costantemente, quindi, ovviamente si ingrassa.  Gli acidi grassi e il glucosio, invece di essere bruciati dall’organismo (cioè utilizzati a scopo energetico) saranno depositati nelle cellule adipose che diventeranno sempre più voluminose.
2.       Nel tempo si crea un sovraccarico di lavoro per il pancreas che causa inizialmente insulinoresistenza causata dall’iperinsulinemia: l’insulina non viene riconosciuta dall’organismo che chiede al pancreas di produrne altra, aumenta quindi di nuovo l’insulina e di conseguenza la resistenza alla stessa. Negli obesi l’insulinoresistenza è la prassi. E’ presente però anche in persone in sovrappeso moderato quando il grasso si è localizzato sul girovita. Una volta sviluppata la ridotta sensibilità all’insulina, anche un frutto a fine pasto può regalare una decina di kg in più alla fine dell’anno, a causa del circolo vizioso suesposto.  Addirittura odorare costantemente inebrianti profumini (pensate a chi lavora in forni, pasticcerie, ristoranti, ecc) può portare il corpo a produrre insulina preventivamente e a stimolare l’appetito.
3.       Il diabete, come naturale conseguenza di tutti questi processi.
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